Siamo alle porte dell'Avvento, il tempo liturgico di preparazione al Natale, in cui si ricorda la prima venuta del Figlio di Dio fra gli uomini. Contemporaneamente è il tempo in cui, attraverso il racconto ricordo, lo spirito viene guidato all'attesa della seconda venuta del Cristo alla fine dei tempi.
Quest'anno il tempo di Avvento è caratterizzato da due eventi straordinari: non solo ci introduce a vivere con gioia e semplicità il mistero ineffabile del santo Natale, ma costituisce anche la preparazione prossima al giubileo, che avrà inizio proprio il 24 dicembre con l'apertura della porta santa della basilica di San Pietro in Vaticano. Nella bolla di indizione del giubileo, papa Francesco indica la virtù della speranza come il suo messaggio centrale. «Tutti sperano – scrive il santo padre – ma spesso incontriamo persone sfiduciate che guardano all'avvenire con scetticismo e pessimismo, come se nulla potesse offrire la loro felicità. Possa il giubileo essere per tutti occasione per rianimare la speranza». L'Avvento è il tempo favorevole alla riscoperta della speranza non vaga e illusoria, ma certa e affidabile perché ancorata in Cristo, Dio fatto uomo, roccia della nostra salvezza. La capacità di sperare è ciò che distingue i cristiani. San Paolo, scrivendo agli Efesini, ricorda loro che, prima di abbracciare la fede in Cristo, erano «senza speranza e senza Dio nel mondo» (2,12). Se manca Dio viene meno la speranza e tutto diventa buio. Oggi, più che mai, noi cristiani siamo chiamati a offrire segni di speranza in un mondo che sembra averla smarrita. Nella mia ultima lettera pastorale, Furono colmati di Spirito Santo, consegnata due mesi fa alla comunità diocesana, indico alcuni segni di questa virtù e che sollecito a viverla in questo periodo. Il primo segno tangibile di speranza è stare vicini alle persone sfiduciate che si trovano nel dolore o nella sofferenza. La missione della Chiesa, infatti, non è quella di giudicare ma di farsi carico delle ferite degli uomini e delle donne. In un mondo, inoltre, segnato dalla divisione, dalla guerra e dalla facile violenza, un altro segno di speranza che la Chiesa è chiamata ad offrire è quello di essere luogo in cui si sperimenta la comunione con Dio e tra gli uomini. Infine, in un tempo in cui prevale il lamento e ci si attarda a notare le cose che non vanno, la comunità cristiana può essere segno di speranza nella società, portando avanti la sua missione educativa e testimoniando con entusiasmo la gioia e la bellezza di vivere. La speranza però va alimentata attraverso la preghiera. La recente ricerca Censis, Italiani, fede e Chiesa, ha fatto emergere dati variamente interpretabili e che sono comunque utili provocazioni a pensare. Risulta ad esempio interessante notare che il 66% degli italiani dichiara di pregare. Una pratica in cui si investe anche il 65,6% dei cattolici non praticanti. Altro dato interessante è che dal 54,4% la preghiera è vissuta come un'occasione in cui riflettere su se stessi e conoscersi meglio. Dinanzi a questo bisogno, siamo interpellati, come Chiesa, a rimettere al centro la nostra vocazione di aiutare gli uomini ad incontrare il Dio di Gesù Cristo. Oggi più che mai c'è bisogno che la comunità credente diventi ancora una volta strumento di fede e di accoglienza in cui s'insegna a pregare piuttosto che ad essere uno spazio in cui si parla di Dio o dove si apprende di tutto. Auspico che tutte le comunità siano luoghi privilegiati, in questo tempo di Avvento e per l'intero anno giubilare, per la preghiera e si incrementano le iniziative, affinché ogni persona possa trovare in esse un'oasi di raccoglimento e di silenzio per riprendere il cammino con il cuore colmo di fiducia e di consolazione. Desidero, e mi auguro, che tutte le famiglie della diocesi siano chiese domestiche, dove si scopra e di nuovo si impari a pregare per essere artigiani e costruttori della civiltà dell'amore. Prodighiamoci pertanto ad abbellire di tante luci le nostre case, affrettiamoci ad allestire presepi, ma soprattutto fermiamoci a pregare. La preghiera è il grido silenzioso che esce dal cuore dell'uomo e sale a Dio. Essa solo alimenta la speranza perché ci rende pronti e disponibili ad accogliere Gesù, nostra speranza.